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al testo di paolo massimo rossi
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(Dal mio nuovo romanzo Diari sospesi Antipodes Editore)
... Juste si alzò, andò alla cassa e uscì. “Che ne pensi?” Mi chiese Agata. “Di questa Juste? Non penso niente, non so neanche se è tua amica.” “Non lo è … Se riusciamo a cancellare l’esteriorità che mostriamo, resta quello che siamo dentro; poi, ma solo se siamo bravi e sinceri, mettiamo l’anima a nudo.” “Avevi spacciato me per filosofo.” “Si va?” chiese. “Andiamo.” Salimmo al suo appartamento, entrammo e mi chiese di aspettarla. Tornò completamente nuda, mi sedette accanto e spense la lampada accanto al divano. Nella semioscurità, distinguevo appena il suo volto e la forma del suo corpo; solo il chiarore dei lampioni della strada diffondeva una tenue luce nella stanza, permettendo di fantasticare sulle ombre. “Ci sono occasioni in cui scopare è un po’ morire; sei d’accordo?” Mi chiese. “No” Risposi. “Perché? Riusciamo a conoscere la strada che abbiamo percorso solo alla fine del cammino, quando essa è già morta … Amami, ti prego, non solo col sesso, anche col cuore, con i sentimenti che leggo nelle lettere che scrivi in risposta alle mie. Non sei freddo come vorresti sembrare … Abbracciami.” L’abbracciai, pensando che aveva un temperamento lunatico, a volte razionale e indifferente, a volte romantico e malinconico. Sentii i profumi di cui si era impregnata, per la prima volta ascoltai il suo cuore. Eppure sapevo che non ero il suo grande amore, né lei lo era per me. In quel momento, l’ora sospese il suo progredire; la figura di Agata assunse una nuova sembianza, quasi se ne fosse oscurata una parte. Le parole non furono più in grado di esprimere l’amore e neanche la sua assenza: ci guardammo nell’oscurità come mai ci eravamo visti alla luce del giorno. |
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